Il primo Giubileo ordinario del XXI secolo, iniziato nella notte di Natale da Papa Francesco con l’apertura della Porta Santa, ha come filo conduttore il motto “Pellegrini di speranza”. Ieri si è aperto il Giubileo in tutte le Diocesi del mondo, perché anche coloro che non potranno andare a Roma possano trovare nei sei santuari “giubilari” della nostra Diocesi, e poi in eventi dedicati ad anziani, ammalati, carcerati, l’opportunità di accogliere la grazia della riconciliazione e il dono del rinnovamento del cuore e della vita. Tre parole ci faranno da guida: giubileo, pellegrini, speranza.
1. Giubileo
Il Giubileo ricorre ogni venticinque anni. Il suo valore di fondo sta in questo: ad ogni generazione è data la possibilità di vivere un anno di grazia del Signore, un tempo di perdono per la persona, la famiglia e la società, un appello per la pace tra le nazioni, per la remissione del debito e la riconciliazione tra i popoli. Il Giubileo è un dispositivo della fede ebraica che, al capitolo 25 del Levitico, prevede ogni 50 anni (dopo sette settimane di anni) un tempo di riposo della terra, di condono dei debiti, di riconciliazione familiare e di pace sociale. Ascoltiamo il testo del Levitico: «8Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. 9Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. 10Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. 11Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. 12Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi» (Lv 25,8-12).
Nel seguito del testo la “proclamazione della liberazione della terra per tutti i suoi abitanti” è riferita anzitutto ai terreni, perché dice Dio «la terra è mia, e voi siete presso di me stranieri ed ospiti» (v. 23); poi alla casa venduta o ipotecata, per la quale si prevede la possibilità di riscatto al cinquantesimo anno; e ancora ai membri del popolo di Dio, per i quali è previsto il condono dei debiti accumulati, soprattutto degli interessi usurai; e, infine, alla condizione di schiavitù, che non può durare tutta la vita ma si deve dare una seconda possibilità. Tutto il testo di Levitico 25 è incentrato sulla possibilità del riscatto, perché la vita degli israeliti è stata a sua volta riscattata da Dio mediante la liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto. Il Giubileo ha a che fare con la libertà dell’uomo. Nessun legame di dipendenza, contratto nella propria e altrui esistenza con le azioni negative, può durare per tutta la vita: a tutti deve essere proclamato un anno di grazia, di perdono e di condono.
Nel Vangelo Gesù allarga il significato del Giubileo per le situazioni di dipendenza, di schiavitù, di fragilità, annunciando nella prima predica di Nazareth la liberazione per tutte le condizioni oppresse e disagiate. Così Egli si presenta alla sua gente e al mondo: «16Venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,16-19). Ecco questo è il Giubileo cristiano: l’anno di grazia del Signore per la riconciliazione personale, familiare, sociale e per la pace fra tutte le nazioni. Per noi qui presenti: ognuno si fermi un momento prima di entrare nel nuovo anno e immagini su che cosa deve cambiare vita per sé, per la propria famiglia, per la città e la vita sociale, e per il mondo intero. Bisogna farlo con lo spirito del Giubileo che è riconciliazione, perdono, condono, pace. Chiediamo a gran voce che il 2025 sia l’anno della pace nei teatri di guerra, della remissione del debito dei paesi poveri, della misericordia per tutti.
2. Pellegrini
I due temi più importanti del Giubileo 2025 sono il pellegrinaggio e la speranza. Il pellegrinaggio ad limina apostolorum, sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, intende farci ritornare alle radici della fede. Una riflessione spirituale sul pellegrinaggio deve ricuperare le forme con cui l’uomo e la donna, per rinnovare la propria identità, possono attingere a una riserva di senso che colmi la loro natura estroversa e pellegrinante. L’uomo e la donna devono abitare uno spazio e un tempo “altro” e incontrare “altri” per ritrovare se stessi. Essi si formano nella relazione all’altro da sé e attraverso il racconto dell’esperienza di un incontro. L’homo faber che produce e trasforma, calcola e costruisce, quantifica e accumula, ha bisogno dell’homo viator che si meraviglia e incontra, che perde tempo per trovare il proprio ritmo temporale, che esce da sé per ritrovare se stesso. Tutte le forme dell’uscita della casa, dell’evasione dalla vita feriale, dell’andare verso l’altro, dell’incontro con il diverso, del confronto multiculturale, della sfida spirituale, dell’esercizio corporeo, sono modi necessari per strutturare la propria identità. Anzi essi sono modi per ritrovare la propria identità perduta, l’umanità ferita, la relazione infranta, la comunità frammentata, e sostenere la speranza viva.
Quando noi pensiamo di cambiare vita, subito ci viene alla mente il viaggio: oggi si privilegia il viaggio esotico, per evadere e divertirsi. Esso ha di mira la cura del corpo, ma si dedica poco tempo alla cura dell’anima. La cura del corpo ci riporta ad un sogno di eterna giovinezza, la cura dell’anima invece è incontro, cultura, scoperta, allargamento della mente e medicina per il nostro male di vivere. Nella storia il pellegrino antico e medievale aveva una mèta alta (Gerusalemme, Roma, Santiago) per scoprire Dio nella propria vita e ritrovare se stesso, ritessere i legami, scegliere l’essenziale e cambiare vita; l’esploratore moderno ha solcato i mari e esaltato la scienza, per scoprire mondi nuovi (il Sole al centro, l’America, le Indie) per indagare le leggi del mondo e della vita, e poi per incontrare culture diverse, mondi sconosciuti e costumi differenti; il viaggiatore del Settecento e dell’Ottocento (fino al Novecento inoltrato) si è avventurato in altre nazioni e continenti, accostando popoli nuovi e curiosando in culture diverse (si ricordi tra tutti il topos del “viaggio in Italia”, che ha influito persino sulla letteratura, ma anche il “viaggio in Oriente”); infine, a partire dagli anni ’60 del Novecento, dopo l’esperienza terribile delle due guerre e con l’affermarsi del boom economico, il turista ha dato il via a un caotico fenomeno di massa, dai forti tratti mimetici e consumistici (anche se vi è un turismo culturale e religioso attento alla diversità e trascendenza), così che corre il rischio di diventare il “vagabondo” o il “bighellone” che si sposta quasi senza scopo, se non quello di divertĕre (evadere) dalla vita quotidiana e di divertirsi (evadere da se stesso).
In ogni epoca storica l’uomo afferma, nei modi con cui esce dalla sua casa, dal suo paese, dalla sua patria, l’immagine di sé e la ricerca del suo destino: il “pellegrino” si rivela come bisognoso di redenzione e cerca una purificazione trascendente: l’“esploratore” si comprende come l’uomo microcosmo che insegue orizzonti inesplorati; il “viaggiatore” si rivela come un’anima sensibile e percorre i paesaggi della cultura umana; il “vagabondo” si manifesta nella sua identità fluida e si perde in un vagare senza meta.
Il pellegrinaggio giubilare, allora, vuole essere una provocazione: andare alle sorgenti della nostra fede e della nostra cultura occidentale (ebraico cristiana e greco-romana) per cambiare vita e convertire noi stessi, riconoscendo l’altro e ritrovandoci nel diverso da noi. L’altro non è un nemico ostile e concorrente, ma un tu promettente e benefico. Solo così potremo smontare tutte le nostre paure, costruire legami forti, superare le polarizzazioni di cui vediamo ogni giorno triste spettacolo in TV, sui social, nella comunicazione pubblica. Dobbiamo dircelo con franchezza: invochiamo la pace, ma poi il nostro parlare, decidere e fare ha spesso il tratto minaccioso della paura, dell’indifferenza e dell’aggressività. Prima nelle parole, che nei fatti!
3. Speranza
La coscienza cristiana può vivere in questo anno di grazia solo con un soprassalto di speranza. Dovremmo insieme scoprire il tratto escatologico dell’annuncio del Vangelo: noi siamo concentrati sull’immediato e le nostre speranze non riescono ad andare al di là del nostro sguardo. Siamo terribilmente ripiegati sul nostro io, versando sale sulle ferite che non lasciamo lenire dal balsamo della fraternità e dell’amore. Come ci ricorda la Prima Lettera di Pietro, siamo “stranieri e pellegrini” che devono «rendere conto della speranza che è in noi» (1Pt 3,15) in un tempo di difficile speranza. Come si può fare ad alimentare la speranza? Che cosa possiamo sperare?
Dovremmo far scoprire, dentro le forme frammentate e disperse con cui si vive oggi la partenza da casa e la ricerca di nuovi approdi, la nostalgia dell’homo viator, rivelare il pellegrino dell’Assoluto dentro le forme fragili della vita odierna. Questa è la speranza che possiamo trasmettere attraverso la “spiritualità” del pellegrinaggio, per mettere alla prova la nostra identità da ricostruire e restaurare sempre da capo. Il pellegrinaggio è amico della speranza, ne è anche il motore nascosto. Il pellegrinare deve incidere sul corpo, sulla fatica, sull’immaginario, sui desideri, deve mettere alla prova noi stessi. Il pellegrinaggio ha un carattere agonistico e agonico, è sfida al tempo che passa, alla morte che affligge il nostro quotidiano corroso dal consumismo e dall’iperattivismo. Il pellegrinaggio è luogo della “conversione”, della guarigione delle ferite dell’io, della redenzione dei blocchi comunicativi, del ricupero dell’uomo come essere di relazione. Alla fine, ha bisogno di una mèta che può ritrovare nella fede degli Apostoli, che ho presentato nella mia lettera pastorale di quest’anno, con Le Dieci Parole della fede, perché rinnovi coraggiosamente il nostro essere discepoli di Gesù e fratelli nella comunità dei credenti.
Per questo Papa Francesco ha dato al Giubileo questo tema: pellegrini di speranza. Nella bolla di indizione ha scritto: «La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni. Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari. Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “porta” di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale “nostra speranza” (1Tm 1,1). Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (Spes non confundit, 1).
Che cosa possiamo sperare dunque? Riprenderò il tema della speranza nell’omelia per la festa di san Gaudenzio. A noi oggi, aprendo il Giubileo, basta sapere che andremo in pellegrinaggio, portando nel cuore Le Dieci Parole della fede, stringendoci a Cristo pietra viva, per essere edificati come pietre vive e costruire un edificio spirituale, gradito a Dio (cfr. 1Pt 2, 4-5). Maria, Vergine fedele e Madre della speranza, ci accompagni nell’avventura del pellegrinaggio giubilare!