L'uomo Calipari innanzitutto, padre e marito amorevole, e poi il professionista arguto e integerrimo, funzionario dei Servizi Segreti, capace di sacrificare la propria vita per portare a termine la missione, riportare a casa in Italia Giuliana Sgrena.
"Il Nibbio" il film prodotto da Rai Cinema presentato a Roma per la prima volta il 4 marzo scorso a Roma e proiettato ieri sera a Domodossola al Cinema Corso, rende onore alla figura del mediatore che condusse le trattative per la liberazione di Giuliana Sgrena, la giornalista ossolana del Manifesto rapita in Iraq vent'anni fa da un gruppo jihadista iracheno poco dopo l'invasione americana.
Nel racconto di quella trattiva, con sullo sfondo la prigionia della giornalista rinchiusa per un mese in una stanzetta, emergono i tanti interrogativi ancora legati alla vicenda. La spaccatura interna al Sismi, con un'anima filoamericana contraria a pagare la cifra richiesta dai sequestratori e il tentativo di creare confusione nelle trattative condotte da Calipari, il processo che ne seguì contro il soldato che aprì il fuoco contro l'auto che trasportava la Sgrena liberata e colpì a morte Calipari, e la successiva archiviazione.
Un racconto doloroso, che ha riportato i presenti in sala a quel giorno in cui fu annunciata la liberazione di Giuliana Sgrena, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutta l'Italia, seguita poco dopo dalla tragica notizia della morte di Calipari.
"Stavamo stappando le bottiglie di spumante per la felicità, quando poco dopo fu annunciata la sparatoria e la morte del liberatore di Giuliana" ha raccontato al termine della proiezione, introducendo la giornalista, Franco Chiodi, presidente dell'Anpi Vco, che in quei giorni fu molto vicino alla famiglia di Giuliana e organizzò le manifestazioni in Ossola a sostegno della liberazione.
E La commozione di Giuliana Sgrena è stata tanta ieri sera: "Questo film è un omaggio a Calipari - ha detto - e a uno dei misteri italiani su cui non si è mai rusciti a fare chiarezza. Non ho sparato io a Nicola, ma vivo da vent'anni con i sensi di colpa, e anche questo film me ne provoca di nuovi. Nicola mi ha salvato due volte, quando mi ha liberata e quando ha fatto scudo su di me con il suo corpo prendendo le pallottole che l'hanno ucciso. Non ho mai potuto essere felice per la mia liberazione, vivo tra andidepressivi e sonniferi. La persona che mi ha aiutato ad alleviare almeno in parte questo senso di colpa è stata la moglie, Rosa Calipari. Lei mi ha ripetuto che Nicola era stato addestrato, e che se in quella sparatoria fossi morta io anziché lui sarebbe stato peggio perché avrebbe saputo di avere fallito".
"In questi anni mi è stata rivolta spesso l'accusa di essere la causa della morte di Nicola - ha proseguito - e un'altra accusa che mi è stata mossa è che me la sono andata a cercare, che non dovevo andare in giro per Bagdad. Mi sono resa conto che correvo dei rischi, come li ho corsi in tutti i miei viaggi come inviata, ma questo era il mio modo di intendere il mestiere. Noi le notizie dovevamo andare a cercarle, e questa visione negli anni non è mai cambiata".
E il prossimo libro di Giuliana, che racconta il suo lavoro da inviata, si intitolerà proprio "Me la sono andata a cercare".